Paulo Coelho

Stories & Reflections

Non sono mai stato propenso a tornare al passato: penso che il presente sia il risultato di tutto quello che abbiamo vissuto e che basti vedere come ci comportiamo in questo momento per capire le benedizioni e correggere le maledizioni.

Ma, ora che il giornalista Fernando Morais sta indagando nella mia vita, ho deciso di dare uno sguardo anch’io ad alcuni appunti sul mio apprendistato con J., mio amico e maestro nella Tradizione di RAM. Per la maggior parte, sono annotazioni scritte tra il 1982 e il 1986. Tanti anni fa, pubblicai alcuni dei suoi dialoghi su questa colonna, e benché la reazione dei lettori fosse stata ottima, pensai che era sufficiente. Eppure, rileggendo alcuni quaderni impolverati (ormai non lo faccio pií¹, non prendo appunti né scrivo diari), ho scoperto delle cose molto particolari. Nelle prossime quattro colonne, trascriverí² quegli appunti che mi sembrano pií¹ interessanti.

Un pomeriggio, in un bar di Copacabana, dopo una settimana di lunghe pratiche spirituali senza alcun risultato, domando:

– Spesso mi sento ignorato da Dio, anche se so di averLo accanto. Perché è tanto difficile stabilire un dialogo con la Divinití ?

– Da una parte, sappiamo che è importante ricercare Dio. Dall’altro, la vita ci allontana da Lui – perché ci sentiamo ignorati dalla Divinití , o perché siamo occupati con il nostro quotidiano. Questo ci suscita un senso di colpa molto profondo: o pensiamo che stiamo rinunciando troppo alla vita a causa di Dio, o riteniamo che stiamo rinunciando troppo a Dio a causa della vita.

“Questa apparente duplice legge è una fantasia: Dio è nella vita, e la vita è in Dio. Se riusciremo a penetrare nell’armonia sacra del nostro quotidiano, ci troveremo sempre sulla strada giusta, perché le nostre incombenze quotidiane sono anche le nostre incombenze divine.”

– Ma che tipo di pratica posso adottare, in modo da poter credere veramente a quello che mi stai dicendo?

– Rilassati. Quando intraprendiamo il nostro cammino spirituale, vogliamo tanto parlare con Dio – e finiamo per non ascoltare quello che Egli ha da dirci. Percií², è sempre consigliabile rilassarsi un po’. Non è facile: noi abbiamo la tendenza naturale a fare sempre la cosa giusta, e riteniamo che riusciremo a migliorare il nostro spirito se ci impegneremo senza sosta.

– Mi stai dicendo che devo essere passivo e non tentare di migliorare me stesso?

– Dipende da come vedi il tuo lavoro. Possiamo pensare che tutto cií² che la vita ci offrirí  domani è ripetere quello abbiamo fatto ieri e oggi. Oppure, se presteremo attenzione, noteremo che nessun giorno è uguale all’altro. Ogni mattina porta con sé una benedizione nascosta: una benedizione che vale solo per quel giorno e che non puí² essere serbata o riutilizzata. Se non usiamo questo miracolo oggi, esso andrí  perduto.

– Ma non c’è un modo sicuro di stabilire questo dialogo con la Divinití , con la meditazione, per esempio? O con l’impegno nel tentativo di migliorare se stessi tutti i giorni?

– La tua domanda mostra un uomo impegnato per un’idea, e basta tenere sempre presente questo punto interrogativo che tutto s’incastrerí . Le condizioni ideali che tu stai cercando non esistono. Certi difetti non riusciranno mai a essere eliminati. Il trucco consiste nel sapere che, malgrado tutti i tuoi difetti, c’è una ragione per il fatto di trovarti qui, e che tu devi onorarla.

“Cerca di superare i limiti ai quali sei abituato. Sii, per dieci minuti al giorno, quella persona che hai sempre desiderato essere. Se il problema è l’inibizione, forza la conversazione. Se il problema è la colpa, cerca di sentirti approvato. Se pensi che il mondo ti ignori, cerca coscientemente di attirare tutti gli sguardi. Prima o poi passerai per qualche altra situazione difficile, ma ne vale la pena.”

“Chi riesce a essere quello che ha sognato per dieci minuti al giorno, sta gií  facendo un grande progresso.”

Decisi allora di provocarlo, citando uno scritto buddista che parla delle sei difficoltí  di vivere in una casa: dí  lavoro costruirla, dí  ancora pií¹ lavoro pagarla, deve essere sempre riparata, puí² venire confiscata dal governo, continua sempre a ricevere visite e ospiti indesiderati, serve da nascondiglio per atti condannabili.

Secondo lo stesso testo buddista, vi sono sei vantaggi nel vivere sotto un ponte: lo si puí² trovare facilmente, il fiume ci mostra come la vita sia passeggera, non ci suscita il sentimento dell’invidia, non ha bisogno di recinti, passa sempre qualche persona nuova con cui parlare, non c’è bisogno di pagare l’affitto.

Conclusi poi dicendo che era una bella filosofia, ma che, almeno nel mio paese, quando vediamo qualcuno che vive sotto i ponti e i viadotti, abbiamo la certezza che il testo sia in errore.

J. rispose:

– Il testo è bello, ma nel nostro contesto è davvero sbagliato. Questo, tuttavia, non deve servire per alimentare la nostra colpa. Noi ci sentiamo colpevoli per tutto quello che di autentico c’è in noi: per il nostro stipendio, le nostre opinioni, le nostre esperienze, i nostri desideri nascosti, il nostro modo di parlare – ci sentiamo colpevoli persino per i nostri genitori e i nostri fratelli.

“E qual è il risultato? La paralisi. Ci vergognamo di fare qualsiasi cosa che sia diversa da quello che gli altri si aspettano. Non esponiamo le nostre idee, non chiediamo aiuto. E questo lo giustifichiamo, dicendo: Gesí¹ ha sofferto, e la sofferenza è necessária.”

“Gesí¹ ha attraversato molte situazioni di sofferenza, ma non ha mai cercato di rimanervi. Non si puí² occultare la vigliaccheria con scuse di questo tipo, altrimenti il mondo intero non va avanti. Percií², se vedi qualcuno sotto un viadotto, vai ad aiutarlo, perché lui fa parte del tuo mondo.”

– E cosa fare per cambiare questo?

– Abbi fede. Credi che sia possibile, e comincerai a cambiare tutta la realtí  intorno a te.

– Nessuno puí² affrontare questo compito da solo. Io vedo che la maggior parte delle persone non ha fede sufficiente.

– A volte noi critichiamo la mancanza di fede degli altri. Non siamo in grado di capire le circostanze in cui questa fede si è perduta, né cerchiamo di alleviare la miseria di un nostro fratello – che crea la ribellione e l’incredulití  nel potere divino.

“L’umanista Robert Owen percorreva l’interno dell’Inghilterra, parlando di Dio. Nel XIX secolo, era comune servirsi di manodopera minorile nei lavori pesanti, e Owen si fermí², un pomeriggio, nei pressi di una miniera di carbone – dove un ragazzino di dodici anni, malnutrito, trasportava un pesante sacco di minerali.

‘Sono qui per aiutarti a parlare con Dio’, disse Owen.

‘Grazie tante, ma non lo conosco. Deve lavorare in un’altra miniera’, fu la risposta del ragazzino. Com’era possibile che un bambino, in quelle condizioni, credesse in Dio?”

– Ti rimando la domanda? Come fare perché cií² possa essere possibile?

– Oltre alla fede, abbi pazienza. Cerca di capire che non sei solo, quando desideri che la Giustizia Celeste si manifesti anche su questa terra. Nel Medioevo, le cattedrali gotiche venivano costruite da pií¹ generazioni. Questo impegno prolungato aiutava i partecipanti a organizzare il pensiero, a ringraziare e sognare. Oggi, il romanticismo è finito: tuttavia, il desiderio di costruire permane in molti cuori, si tratta solo di essere disposti a incontrare le persone giuste.

(finisce nella prossima edizione)

Nunca he sido partidario de revisar el pasado; pienso que el presente es resultado de todo lo vivido, y que basta con fijarse en nuestra manera habitual de proceder para darnos cuenta de lo que nos hace agraciados y de lo que hay que evitar y corregir porque nos lleva a la desgracia.

Sin embargo, ahora que el periodista Fernando Morais está escudriñando en mi vida, he decidido echar un vistazo yo también a mis anotaciones de otra época: las que tomé, en su mayorí­a, entre 1982 y 1986, a partir de mis conversaciones con J., mi amigo y maestro en la Tradición de RAM. Hace ya muchos años, publiqué algunos de nuestros diálogos en esta columna, y aunque tuvieron una excelente acogida por parte de los lectores, no continué, considerando que con lo publicado ya bastaba. No obstante, al releer algunos de estos cuadernos mí­os cubiertos de polvo (dejé hace tiempo esta costumbre de escribir notas y diarios) he descubierto cosas muy especiales. En las próximas cuatro columnas voy a transcribir los pasajes que me han parecido más interesantes.

Cierta tarde, en una cafeterí­a de Copacabana, tras toda una semana de prolongadas prácticas espirituales sin resultado alguno, le pregunto:

-A menudo pienso que Dios me ignora, aunque sepa que Lo tengo a mi lado. ¿Por qué es tan difí­cil establecer un diálogo con la Divinidad?

-Por una parte, conocemos la importancia de buscar a Dios. Por otra, la vida nos aleja de Él, bien porque nos sentimos ignorados por la Divinidad, o bien porque estamos enfrascados en nuestro dí­a a dí­a. Esto genera además un gran sentimiento de culpa: podemos llegar a pensar que estamos dejando la vida demasiado de lado por causa de Dios, o creer que, por culpa de la vida, renunciamos a Dios más de lo que deberí­amos. Pero esto que parece una alternativa inevitable, no es más que un espejismo: Dios está en la vida, y la vida está en Dios. Si conseguimos penetrar en la armoní­a sagrada de nuestra vida diaria, nos mantendremos en el buen camino, porque nuestras tareas cotidianas son también nuestras tareas divinas.

-Pero, ¿no hay algún tipo de ejercicio práctico que pueda realizar para llegar a creer que es verdad lo que dices?

-Procura tranquilizarte. Al comenzar nuestro camino espiritual, queremos hablar constantemente con Dios, y acabamos por no escuchar lo que Él nos tiene que decir. Por eso tranquilizarse siempre es bueno. No resulta fácil, porque tenemos una tendencia natural a querer actuar, y a actuar de la mejor manera posible, y pensamos que conseguiremos mejorar espiritualmente si trabajamos sin cesar.

-¿Me estás diciendo que debo mantenerme pasivo y no intentar superarme?

-Depende de cómo entiendas tu trabajo. Nos puede parecer que todo lo que la vida nos ofrece es repetir mañana lo que hemos hecho hoy y lo que hicimos ayer. Pero, si prestamos atención, nos daremos cuenta de que ningún dí­a es igual a otro. Cada mañana esconde una bendición, un regalo sólo para este dí­a, que no se puede guardar ni reutilizar más adelante. Si no aprovechamos hoy este milagro, va a perderse sin remedio.

-Pero, ¿no hay un método seguro para conseguir dialogar con la Divinidad, como, por ejemplo, la meditación? ¿O mediante el esfuerzo personal de intentar mejorar cada dí­a?

-Tu pregunta demuestra que eres una persona comprometida con una idea, y basta con mantener siempre presente la esencia de esta pregunta para que todo acabe encajando de manera natural. Las condiciones ideales que buscas no existen. Ciertos defectos nunca podrán eliminarse. El truco consiste en saber que, a pesar de todos tus defectos, existe una razón para que estés aquí­, y tú tienes que estar a la altura.

»Intenta ir más allá de los lí­mites a los que estás acostumbrado. Sé, por diez minutos al dí­a, la persona que siempre has querido ser. Si tu problema es la timidez, toma la iniciativa en la conversación. Si el problema es la culpa, considérate aceptado y comprendido. Si te parece que el mundo te ignora, procura conscientemente ser el centro de todas las miradas. Vas a pasar por alguna que otra situación complicada, pero al final merece la pena.

»Quien, por diez minutos al dí­a, consigue ser lo que soñó de sí­ mismo, ya está realizando un gran progreso.

Decidí­ provocarlo citando un texto budista que habla sobre las seis dificultades de vivir en una casa: da trabajo construirla, aún más trabajo da pagarla, hay que repararla constantemente, el gobierno la puede confiscar, siempre está llena de visitas y huéspedes no deseados, y sirve de escondrijo para actos reprobables.

Según el mismo escrito, existen seis ventajas de vivir bajo un puente: se puede encontrar fácilmente, el rí­o nos enseña lo pasajera que es la vida, no nos despierta una sensación de codicia, no necesita cerca, siempre pasa por allí­ alguien nuevo para conversar, y no hace falta pagar alquiler.

Acabé diciendo que se trataba de una bonita filosofí­a pero que, al menos en mi paí­s, cuando vemos personas viviendo bajo los puentes o viaductos, llegamos a la conclusión clarí­sima de que este texto está equivocado.

J. respondió:

-Es verdad que el pensamiento es bonito, y también es cierto que, en nuestro contexto, está muy equivocado. Sin embargo, tampoco debemos por eso alimentar nuestra culpa. Nos llegamos a sentir culpables por todo lo que somos, inclusive por nuestro salario. Todo sirve de excusa para sentir culpa: nuestras opiniones y experiencias, nuestros deseos ocultos y nuestra manera de hablar, y hasta el hecho de tener determinados padres y hermanos.

»¿Y cuál es el resultado? La paralización. Nos da vergüenza hacer cualquier cosa diferente a lo que los otros esperan. No exponemos nuestras ideas, tampoco pedimos ayuda. Nos justificamos diciendo: “Jesús sufrió, y el sufrimiento es necesario”.

»No obstante, aunque Jesús pasó por muchas situaciones de sufrimiento, nunca pretendió permanecer anclado a ellas. No se debe disculpar la cobardí­a con argumentos de este tipo, o el mundo entero se quedará bloqueado. Por eso mismo, si ves a alguien bajo un viaducto, ve a ayudarlo, porque forma parte de tu mundo.

-¿Y qué se puede hacer para cambiar eso?

-Ten fe. Cree que es posible, y empezará a cambiar toda la realidad que te rodea.

-Nadie puede asumir esta tarea en solitario, y veo que la mayorí­a de las personas no tiene fe suficiente.

-A veces criticamos la falta de fe de los otros. No somos capaces de entender las circunstancias en las que se perdió esta fe, ni intentamos aliviar la miseria de nuestro hermano, cuando justamente esta extrema pobreza genera a su vez cierta rebeldí­a contra Dios e incredulidad en el poder divino.

»En el siglo XIX, el humanista Robert Owen recorrí­a el interior de Inglaterra hablando de Dios. En aquella época era frecuente recurrir a la mano de obra infantil en trabajos pesados, y Owen se detuvo cierta tarde en una mina en la que un chaval de doce años, desnutrido, cargaba un pesado saco de carbón.

»-Estoy aquí­ para ayudarte a hablar con Dios- le dijo Owen.

»-Muchí­simas gracias, pero no conozco a este señor. Debe de trabajar en otra mina- fue la respuesta del chico. ¿Cómo pretender que un niño, en estas condiciones, pudiese creer en Dios?

-Devuelvo la pregunta: ¿Cómo podrí­a ser esto posible?

-Además de fe, debes tener paciencia. Comprende que no estás solo al desear que la Justicia Celeste se manifieste también en esta Tierra. En la Edad Media, las catedrales góticas eran construidas por varias generaciones. Este esfuerzo prolongado ayudaba a sus participantes a organizar el pensamiento, a agradecer y a soñar. Hoy el romanticismo ya no existe, pero el deseo de construir permanece en muchos corazones. Es cuestión apenas de mantenerse abierto para acabar encontrándose con las personas adecuadas.

(termina en la próxima edición)

Je n’ai jamais aimé me tourner vers le passé ; je pense que le présent est le résultat de tout ce que nous avons vécu, et qu’il suffit de voir comment nous agissons en ce moment pour comprendre les bénédictions et corriger les malédictions.

Mais maintenant que le journaliste Fernando Morais revient sur ma vie, j’ai décidé moi aussi de regarder certaines notes concernant mon apprentissage avec J., mon ami et maí®tre dans la tradition de RAM. La plupart ont été écrites entre 1982 et 1986. Il y a plusieurs années, j’ai publié quelques-uns de ces dialogues dans cette colonne, et bien que la réaction des lecteurs fí»t excellente, j’ai trouvé que cela suffisait. Cependant, en relisant certains carnets couverts de poussière (je ne fais plus cela, je ne prends pas de notes et je n’écris pas de journaux), j’ai découvert des choses très particulières. Dans les quatre prochaines colonnes, je vais transcrire celles qui me paraissent les plus intéressantes.

Un après-midi, dans un café í  Copacabana, après une semaine de longues pratiques spirituelles sans aucun résultat, je pose cette question :

« Je me sens très souvent ignoré par Dieu, míªme si je sais qu’Il est í  mes cí´tés. Pourquoi est-il si difficile d’établir un dialogue avec la Divinité ?

– D’une part, nous savons qu’il est important de chercher Dieu. D’autre part, la vie nous éloigne de Lui – parce que nous nous sentons ignorés par la Divinité ou parce que nous sommes occupés par notre quotidien. Cela entraí®ne un profond sentiment de culpabilité : ou bien nous pensons que nous renoní§ons trop í  la vie í  cause de Dieu, ou bien nous pensons que nous renoní§ons trop í  Dieu í  cause de la vie.

« Cette apparente double contrainte est imaginaire : Dieu est dans la vie, et la vie est en Dieu. Si nous parvenons í  pénétrer dans l’harmonie sacrée de notre quotidien, nous serons toujours sur la bonne voie, parce que nos tí¢ches quotidiennes sont aussi nos tí¢ches divines.

– Mais í  quel genre de pratique puis-je recourir pour íªtre en mesure de croire vraiment ce que tu es en train de me dire ?

– Détends-toi. Au début de notre chemin spirituel, nous voulons beaucoup parler avec Dieu – et nous finissons par ne plus écouter ce qu’Il a í  nous dire. C’est pourquoi il est toujours conseillé de se détendre un peu. Ce n’est pas facile : nous avons une tendance naturelle í  toujours bien faire, et nous pensons que nous parviendrons í  rendre notre esprit meilleur si nous travaillons sans cesse.

– Veux-tu me dire que je dois íªtre passif et ne pas essayer de m’améliorer ?

– Cela dépend de la faí§on dont tu vois ton travail. Nous pouvons penser que la vie ne nous offrira rien d’autre demain que la répétition de ce que nous avons fait hier et aujourd’hui. Mais, si nous sommes attentifs, nous observerons qu’aucun jour n’est semblable í  l’autre. Chaque matin apporte une bénédiction cachée : une bénédiction qui ne sert que pour ce jour-lí , et qui ne peut pas íªtre mise en réserve ou réutilisée. Si nous ne profitons pas de ce miracle aujourd’hui, il sera perdu.

– Mais n’y a-t-il pas un moyen sí»r d’établir ce dialogue avec la Divinité, la méditation, par exemple ? Ou l’effort d’essayer de m’améliorer tous les jours ?

– Ta question est celle d’un homme embarrassé par une idée ; il suffit de garder ce point d’interrogation toujours présent, et tout viendra í  propos. Les conditions idéales que tu recherches n’existent pas. Certains défauts ne seront jamais éliminés. La ruse consiste í  savoir que, malgré tous tes défauts, ta présence ici a une raison, et que tu dois l’honorer.

« Efforce-toi d’aller au-delí  de tes limites habituelles. Sois pendant dix minutes par jour la personne que tu as toujours désiré íªtre. Si ton problème est l’inhibition, prends l’initiative de la conversation. Si ton problème est la culpabilité, sens-toi reconnu. Si tu penses que le monde t’ignore, cherche consciemment í  attirer tous les regards. Tu connaí®tras des situations difficiles, mais cela vaut la peine.

« Celui qui parvient í  íªtre ce qu’il a ríªvé d’íªtre pendant dix minutes par jour fait déjí  un grand progrès. »

J’ai décidé de le provoquer en citant un écrit bouddhiste qui traite des six difficultés que représente la vie dans une maison : la construire donne du travail, la payer donne encore plus de travail, il faut toujours la réparer, elle peut íªtre confisquée par le gouvernement, on reí§oit sans cesse des visites et des hí´tes indésirables, elle sert de cachette pour des actes condamnables.

Selon ce míªme texte bouddhiste, habiter sous un pont, cela présente six avantages : on peut le trouver facilement, le fleuve nous montre que la vie est passagère, nous ne ressentons pas la cupidité, une clí´ture n’est pas nécessaire, il vient toujours un nouveau passant pour converser, il n’y a pas de loyer í  payer.

J’ai conclu en disant que c’était une belle philosophie, mais que, du moins dans mon pays, quand nous voyons les gens vivre sous des ponts et des viaducs, nous avons la certitude que ce texte se trompe.

J. a répondu :

« Ce texte est beau, mais, dans notre contexte, il se trompe en effet. Cependant, cela ne doit pas servir í  alimenter notre culpabilité. Nous nous sentons coupables pour tout ce qu’il y a d’authentique en nous ; notre salaire, nos opinions, nos expériences, nos désirs cachés, notre faí§on de parler – nous nous sentons coupables míªme pour nos parents et nos frères.

« Et quel en est le résultat ? La paralysie. Nous avons honte de faire quoi que ce soit qui serait différent de ce que les autres attendent. Nous n’exposons pas nos idées, nous n’appelons pas au secours. Nous justifions cela en disant “Jésus a souffert, et la souffrance est nécessaire”.

« Jésus a traversé bien des situations de souffrance, mais il n’a jamais cherché í  y rester. On ne peut pas occulter sa lí¢cheté avec des excuses de ce genre, sinon le monde entier n’irait pas plus loin. Alors, si tu vois quelqu’un sous un viaduc, va l’aider parce qu’il fait partie de ton monde.

– Et que faire pour changer cela ?

– Aie la foi. Crois que c’est possible, et tu commenceras í  changer toute la réalité qui t’entoure.

– Personne ne peut assumer cette tí¢che tout seul. Je vois que la plupart des gens n’ont pas la foi suffisante.

– Nous critiquons parfois l’absence de foi des autres. Nous ne sommes pas capables de comprendre les circonstances dans lesquelles ils l’ont perdue, et nous ne cherchons pas í  soulager la misère de notre frère – qui engendre la révolte et l’incrédulité dans le pouvoir divin.

« L’humaniste Robert Owen parcourrait la campagne anglaise, parlant de Dieu. Au XIXe siècle, il était courant de recourir í  la main-d’Å“uvre enfantine dans des travaux pénibles, et un jour Owen s’est arríªté dans une mine de charbon, oí¹ un gamin de douze ans portait un lourd sac de minerai.

« “Je suis lí  pour t’aider í  parler avec Dieu, lui a dit Owen.

« – Merci beaucoup, mais je ne le connais pas. Il doit travailler dans une autre mine”, a répondu le gosse. Comment voudrais-tu qu’un gamin, dans ces conditions, puisse croire en Dieu ?

– Je te renvoie la question. Comment faire en sorte que cela soit possible ?

– En plus de la foi, aie de la patience. Comprends que tu n’es pas seul quand tu désires que la Justice Céleste se manifeste aussi sur cette Terre. Au Moyen í‚ge, plusieurs générations prenaient part í  la construction des cathédrales gothiques. Cet effort prolongé aidait les participants í  organiser leur pensée, rendre grí¢ce, et ríªver. Aujourd’hui le romantisme est fini ; mais le désir de construire demeure dans bien des cÅ“urs, il s’agit simplement d’íªtre ouvert pour rencontrer les bonnes personnes.

(suite dans la prochaine édition)

I was never one to dwell on the past; I think that the present is the result of all that we have lived, and seeing how we act at this very moment suffices for us to understand our blessings and correct our curses.

But now that my life is being turned upside down by journalist-biographer Fernando Morais, I have also decided to look at some notes on my apprenticeship with J., my friend and master in the Regnus Agnus Mundi (RAM) tradition. Most of these notes were written between 1982 and 1986. Many years ago I published some of these dialogues in this column, and although the reaction from the readers was excellent, I felt it was enough. Nevertheless, on re-reading some dust-covered notebooks (I no longer take notes or keep diaries), I discovered some very special things. In the next four columns I shall transcribe those that strike me as most interesting.

One afternoon, sitting in a café in Copacabana after a week of long spiritual exercises that resulted in nothing, I asked: “I often feel that I am ignored by God, although I know that He is here by my side. Why is it so hard to establish a dialogue with the Divine?”

“On one hand we know that it is important to seek God. On the other hand, life distances us from Him – because we feel ignored by the Divine, or else because we are busy with our daily life. This makes us feel very guilty: either we feel that we are renouncing life too much because of God, or else we feel that we are renouncing God too much because of life. This apparent double law is a fantasy: God is in life, and life is in God. If we manage to penetrate the sacred harmony of our daily existence, we shall always be on the right road, because our daily tasks are also our divine tasks.”

“But what kind of exercise can I practice that will make me really believe what you are telling me?”

“Relax. When we start our spiritual journey, we want so very hard to speak to God – and we end up not hearing what He has to tell us. That is why it is always advisable to relax a little. It is not easy: we have the natural tendency always to do the right thing, and we feel that we are going to improve our spirit is we work at it non-stop.”

“Are you saying that I ought to be passive and not try to improve myself?”

“That depends on how you see your work. We may feel that all that life can offer us tomorrow is to repeat what we did yesterday and today. But if we pay attention we can see that no day is like another. Each and every morning brings a hidden blessing, a blessing that is only good for that particular day, for it cannot be kept or re-used. If we don’t take advantage of this miracle today, it will be lost.”

“But isn’t there some sure way of establishing this dialogue with the Divine, like meditation, for instance? Or endeavoring to make myself better every day?”

“Your question reveals a man committed to an idea, and if that question can always be kept present, everything will fit together. The ideal conditions that you are looking for don’t exist. We shall never be able to get rid of certain defects. The trick lies in knowing that despite all your flaws you have a reason for being here, and you have to honor that reason.

“Try to go beyond the limits that you are used to. For ten minutes a day, be that person you have always wanted to be. If the problem is shyness, stimulate conversation. If the problem is guilt, feel approved. If you think that the world ignores you, try consciously to attract everyone’s looks. You will experience the occasional difficult situation, but it’s worth it. If for ten minutes a day you can manage to be what you dreamed, you are already making great progress.”

I decided to provoke him by quoting a Buddhist scripture on the six difficulties of living in a house: the work involved in building it, more work still to pay for it, the work of always having to repair it, the risk of having it confiscated by the government, the house constantly full of visitors and undesirable guests, and the house being used as a hiding place for condemnable activities.

According to the same Buddhist text, there are six advantages of living under a bridge: you can easily be found, the river shows us that life is a passage, we are rid of the feeling of covetousness, we need no fences, someone new is always passing by to have a chat, and we don’t have to pay rent.

I ended by saying that it was a beautiful philosophy, but that at least in my country, when we see people living under bridges and viaducts, we know for sure that this text is wrong.

J. answered: “The text is beautiful, but in our context it is certainly wrong. However, that should not serve to feed our sense of guilt. We feel guilty for all that is authentic in ourselves – our salary, our opinions, our experiences, our hidden desires, the way we speak – we even feel guilty for our parents and our brothers.

“And what is the result? Paralysis. We grow ashamed of doing anything different from what the others are expecting. We do not expose our ideas, we don’t ask for help. We justify this by saying: ‘Jesus suffered, and suffering is necessary’. Jesus experienced many situations of suffering, but he never advocated staying still in those circumstances. Cowardice cannot be concealed with this type of excuse, otherwise the entire world fails to move ahead. That is why, if you see someone under a viaduct, you go to help them, because they are part of your world.”

“And how can that be changed?”

“Have faith. Believe that it is possible, and all the reality around you will begin to change.”

“Nobody can perform that task all alone. What I see is that most people don’t have enough faith.”

“Sometimes we criticize lack of faith in others. We aren’t capable of understanding the circumstances in which this faith has been lost, nor do we try to alleviate our brother’s misery – and this causes revolt and incredulity in the divine power.

“Humanist Robert Owen traveled all over England talking of God. In the 19th century it was common to use child labor in heavy work, and one afternoon Owen stopped at a coal mine where an undernourished twelve-year-old boy was lugging a heavy sack of bricks. ‘I am here to help you talk to God’, said Owen. ‘Thanks very much, but I don’t know him. He must work in another mine’, answered the boy. How can you expect a boy in those conditions to be able to believe in God?”

“Let me return the question. How could that be made possible?”

“Besides faith, have patience. Understand that you are not alone when you want Divine Justice to make itself manifest on this Earth. In the Middle Ages the Gothic cathedrals were built by several generations. This prolonged effort helped the participants to organize their thoughts, to give thanks and to dream. Today that Romanticism is ended, and yet the desire to build remains in our hearts, it’s just a question of being open to meet the right people.”

(ends in the next edition)

Nunca fui de voltar ao passado; acho que o presente é o resultado de tudo que vivemos, e basta ver como agimos neste momento, para entender as bíªní§í£os e corrigir as maldií§íµes.

Mas agora que minha vida está sendo revirada pelo jornalista Fernando Morais, resolvi também olhar algumas notas sobre meu aprendizado com J. meu amigo e mestre na Tradií§í£o de RAM. A maioria delas foi escrita entre 1982 e 1986. Há muitos anos, publiquei alguns de seus diálogos nesta coluna, e embora a reaí§í£o dos leitores tenha sido excelente, achei que bastava. Entretanto, relendo alguns cadernos empoeirados (já ní£o faí§o mais isso, ní£o tomo notas nem escrevo diários), descobri coisas muito especiais. Nas próximas quatro colunas vou transcrever as que me parecem mais interessantes.

Em uma tarde, em um café em Copacabana, depois de uma semana de longas práticas espirituais sem qualquer resultado, eu pergunto:

– Muitas vezes me sinto ignorado por Deus, embora sei que O tenha ao meu lado. Por que é tí£o difí­cil estabelecer um diálogo com a Divindade?

– Por um lado, sabemos que é importante buscar a Deus. Por outro, a vida nos distancia Dele – porque nos sentimos ignorados pela Divindade, ou porque estamos ocupados com nosso cotidiano. Isto nos dá um sentimento de culpa muito grande: ou achamos que estamos renunciando demasiadamente a vida por causa de Deus, ou achamos que estamos renunciando demasiadamente a Deus por causa da vida.

“Esta aparente lei dupla é uma fantasia: Deus está na vida, e a vida está em Deus. Se conseguirmos penetrar na harmonia sagrada de nosso cotidiano, estaremos sempre no caminho certo, porque nossas tarefas diárias sí£o também nossas tarefas divinas.”

– Mas que tipo de prática posso usar, de modo que possa acreditar realmente no que está me dizendo?

– Relaxe. Quando comeí§amos nosso caminho espiritual, queremos falar muito com Deus – e terminamos por ní£o escutar o que Ele tem para nos dizer. Por isso, é sempre aconselhável relaxar um pouco. Ní£o é fácil: temos a tendíªncia natural de sempre fazer a coisa certa, e achamos que vamos conseguir melhorar nosso espí­rito se trabalharmos sem cessar.

– Vocíª está me dizendo que devo ser passivo, e ní£o tentar melhorar a mim mesmo?

– Depende de como vocíª víª o seu trabalho. Podemos achar que tudo que a vida nos oferece amanhí£ é repetir o que fizemos ontem e hoje. Mas, se prestarmos atení§í£o, vamos reparar que nenhum dia é igual ao outro. Cada manhí£ traz uma bení§í£o escondida; uma bení§í£o que só serve para este dia, e que ní£o pode ser guardada ou reaproveitada. Se ní£o usarmos este milagre hoje, ele se perderá.

– Mas ní£o existe uma maneira segura de estabelecer este diálogo com a Divindade, como a meditaí§í£o, por exemplo? Ou com o esforí§o de tentar melhorar a mim mesmo todos os dias?

– Sua pergunta mostra um homem comprometido com uma idéia, e basta manter este ponto de interrogaí§í£o sempre presente, que tudo irá se encaixar. As condií§íµes ideais que vocíª está buscando ní£o existem. Certos defeitos jamais conseguirí£o ser eliminados. O truque consiste em saber que, apesar de todos os seus defeitos, vocíª tem uma razí£o para estar aqui, e precisa honrá-la.

” Procure ir além dos limites aos quais está acostumado. Seja, durante dez minutos por dia, aquela pessoa que sempre desejou ser. Se o problema é inibií§í£o, force a conversa. Se o problema é a culpa, sinta-se aprovado. Se acha que o mundo o ignora, procure conscientemente atrair todos os olhares. Vai passar por uma ou outra situaí§í£o difí­cil, mas vale a pena.”

“Quem consegue ser o que sonhou durante dez minutos por dia, já está fazendo um grande progresso.”

Resolvi provocá-lo, citando uma escritura budista que discorre sobre as seis dificuldades de se viver numa casa: dá trabalho construí­-la, dá mais trabalho ainda pagá-la, deve ser consertada sempre, pode ser confiscada pelo governo, vive recebendo visitas e hóspedes indesejados, serve de esconderijo para atos condenáveis.

Segundo o mesmo texto budista, há seis vantagens de morar sob uma ponte: pode ser encontrada facilmente, o rio nos mostra como a vida é passageira, ní£o nos dá a sensaí§í£o de cobií§a, ní£o precisa de cerca, sempre passa alguém novo para conversar, ní£o é preciso pagar aluguel.

Conclui dizendo que era uma bela filosofia, mas que pelo menos, em meu paí­s, quando vemos as pessoas morando debaixo de pontes e viadutos, temos certeza que este texto está errado.

J. respondeu:

– O texto é bonito, mas dentro de nosso contexto está realmente errado. Entretanto, isso ní£o deve servir para alimentar nossa culpa. Nos sentimos culpados por tudo que há de autíªntico em nós; por nosso salário, nossas opiniíµes, nossas experiíªncias, nossos desejos ocultos, nossa maneira de falar – nos sentimos culpados até mesmo por nossos pais e nossos irmí£os.

“E qual o resultado? Paralisia. Ficamos com vergonha de fazer qualquer coisa diferente do que os outros estí£o esperando. Ní£o expomos nossas idéias, ní£o pedimos ajuda. Justificamos isto, dizendo: “Jesus sofreu, e o sofrimento é necessário “.

“Jesus atravessou muitas situaí§íµes de sofrimento, mas jamais procurou permanecer nelas. Ní£o se pode ocultar a covardia com desculpas deste tipo, sení£o o mundo inteiro ní£o segue adiante. Por isso, se ver alguém debaixo de um viaduto, vá ajudá-lo, porque ele é parte do seu mundo.”

– É o que fazer para mudar isso?

– Tenha fé. Acredite que é possí­vel, e comeí§ará a mudar toda a realidade ao seu redor.

– Ninguém pode dar conta desta tarefa sozinho. Vejo que a maioria das pessoas ní£o tem fé suficiente.

– í€s vezes criticamos a falta de fé dos outros Ní£o somos capazes de entender as circunstí¢ncias em que esta fé foi perdida, nem procuramos aliviar a miséria de nosso irmí£o – que gera a revolta e a incredulidade no poder divino.

“O humanista Robert Owen percorria o interior da Inglaterra, falando de Deus. No século XIX, era comum usar a mí£o de obra infantil em trabalhos pesados, e Owen parou certa tarde em uma mina de carví£o – onde um garoto de doze anos, subnutrido, carregava um pesado saco de minérios.”

“Estou aqui para ajuda-lo a falar com Deus”, disse Owen.

“Muito obrigado, mas ní£o o conheí§o. Ele deve trabalhar em outra mina”, foi a resposta do garoto. Como querer que um menino, nestas condií§íµes, pudesse acreditar em Deus?”

– Eu devolvo a pergunta? Como fazer com que isso pudesse ser possí­vel?

– Além da fé, tenha paciíªncia. Entenda que ní£o está sozinho, quando deseja que a Justií§a Celeste também se manifeste nesta terra. Na Idade Média, as catedrais góticas eram construí­das por varias geraí§íµes. Este esforí§o prolongado ajudava seus participantes a organizar o pensamento, agradecer, e sonhar. Hoje o romantismo acabou; entretanto, o desejo de construir permanece em muitos coraí§íµes, é apenas uma questí£o de estar aberto para encontrar-se com as pessoas certas.

(termina na próxima edií§í£o)

Evita i reumatismi

Il millepiedi decise di domandare al saggio della foresta, una scimmia, quale fosse il rimedio migliore per il suo dolore alle gambe.
“Si tratta di reumatismi”, disse la scimmia, “Hai troppe gambe. Bisognerebbe che tu fossi come me: con due gambe sole, raramente vengono i reumatismi”.
“E come faccio per avere solo due gambe?”
“Non mi scocciare con questi dettagli”, rispose la scimmia. “Un saggio dí  solo il consiglio migliore. Il problema risolvilo tu”.

Posso aiutare?

Non appena aprí¬ la chiesa, il prete vide una donna entrare, sedersi sul primo banco e prendersi il capo fra le mani. Due ore dopo, notí² che la donna si trovava ancora lí¬, nella stessa posizione.
Preoccupato, decise di avvicinarsi:
“Posso fare qualcosa per aiutarla?”, domandí².
“No, grazie”, rispose lei. “Stavo gií  ottendendo tutto l’aiuto di cui ho bisogno quando lei mi ha interrotto”.
Il gesuita Anthony Mello commenta: “in un monastero non c’era scritto Non parlare. C’era scritto: Parla solo se puoi migliorare il silenzio.”

Io so cií² che è giusto

Un contadino stava tornando verso casa quando vide nel campo una giumenta.
“Non sono una semplice giumenta”, disse l’animale. “Ho visto il Messia nascere. Esisto da duemila anni, e sono viva per dare questa testimonianza.”
Spaventato, il contadino si precipití² in chiesa e lo raccontí² al parroco. “Impossibile”, disse questi. Il contadino lo prese per mano e lo condusse nel luogo dove si trovava la giumenta. L’animale ripetè tutto cií² che aveva detto.
“Ripeto: gli animali non parlano” disse il prete.
“Ma lo ha sentito!” – insistette il contadino.
“Come sei stupido! Preferisci credere a una giumenta piuttosto che a un prete!”

Questo funzionerí  anche con noi

Una favola dello scrittore libanese Mikail Naaimé puí² illustrare bene il pericolo di seguire i metodi altrui, per quanto nobili essi possano essere:
“Dobbiamo liberarci dalla schiavití¹ in cui ci tiene l’uomo”, disse un bue ai suoi compagni. “Per anni, abbiamo sentito gli esseri umani dire che la porta della libertí  è macchiata con il sangue dei martiri. Cerchiamo di scoprirla e la sfonderemo con la forza delle nostre corna”.
Camminarono lungo la strada per giorni e notti, finché videro una porta tutta macchiata di sangue.
“Ecco la porta della libertí “, dissero. “Sappiamo che i nostri fratelli furono sacrificati lí¬”.
A uno a uno, i buoi entrarono. E solo una volta dentro, quando ormai era troppo tardi, se ne resero conto: era la porta del mattatoio.

Decidendo il destino altrui

Malba Tahan racconta la storia di un uomo che incontrí² un angelo nel deserto e gli offrí¬ un po’ d’acqua. “Sono l’angelo della morte e sono venuto a prenderti”, disse l’angelo. “Ma, poiché sei stato buono, ti presterí² il Libro del Destino per cinque minuti. Puoi modificare cií² che vuoi”.
L’angelo gli consegní² il libro. Sfongliandone le pagine, l’uomo potè leggere la vita dei suoi vicini. Ne fu scontento: “queste persone non meritano delle cose tanto belle”, pen­sí². Impugní² la penna e comincií² a peggiorare la vita di ciascuno di loro.
Giunse, infine, alla pagina del proprio destino. Vide il finale tragico, ma quando si accingeva a cambiarlo, il libro scomparve. I cinque minuti erano ormai passati.
E l’angelo, all’istante, portí² via l’anima di quell’uomo.

Évitez le rhumatisme

Le mille-pattes décida de demander au sage de la foríªt, un singe, quel était le meilleur remède pour sa douleur dans les jambes.
« C’est un rhumatisme, dit le singe. Tu as trop de jambes. Tu devrais íªtre comme moi ; avec deux seulement, le rhumatisme apparaí®t rarement.
– Et comment je fais pour n’avoir que deux jambes ?
– Ne m’ennuie pas avec des détails, répondit le singe. Un sage donne simplement le meilleur conseil ; toi, tu résous le problème. »

Puis-je vous aider ?

Dès qu’il eut ouvert l’église, le príªtre vit une femme entrer, s’asseoir sur le banc de devant, et mettre la tíªte entre ses mains. Deux heures plus tard, il observa que la femme était toujours lí , dans la míªme position.
Préoccupé, il décida de s’approcher :
« Puis-je faire quelque chose pour vous aider ? demanda-t-il.
– Non, merci, répondit-elle. J’étais en train d’obtenir toute l’aide dont j’ai besoin, quand vous m’avez interrompue. »
Le jésuite Anthony Mello commente : « Dans un monastère, il n’était pas écrit Ne parlez pas. Il était écrit Parlez seulement si vous pouvez améliorer le silence. »

Je sais que c’est vrai

Un paysan rentrait chez lui, quand il vit un í¢ne dans le champ.
« Je ne suis pas seulement un í¢ne, dit l’animal. J’ai vu naí®tre le Messie. Je vis depuis deux mille ans, et je suis vivant pour apporter ce témoignage. »
Effrayé, le paysan se précipita í  l’église et raconta l’affaire au curé. « Impossible », déclara celui-ci. Le paysan le prit par la main et l’emmena jusqu’í  l’endroit oí¹ se trouvait l’í¢ne. L’animal répéta tout ce qu’il avait dit.
« Je le répète, les animaux ne parlent pas, affirma le príªtre.
– Mais vous l’avez entendu ! insista le paysan.
– Quel idiot vous faites ! Vous préférez croire un í¢ne plutí´t qu’un príªtre ! »

Cela va marcher pour nous aussi

Une fable de l’écrivain libanais Mikail Naaimé peut illustrer le danger qu’il y a í  suivre les méthodes des autres, aussi nobles qu’elles paraissent :
« Nous devons nous libérer de l’esclavage dans lequel l’homme nous maintient, dit un bÅ“uf í  ses compagnons. Depuis des années, nous entendons les íªtres humains dire que la porte de la liberté est tachée du sang des martyrs. Découvrons-la et entrons par la force de nos cornes. »
Ils marchèrent des jours et des nuits sur la route, puis ils virent une porte toute tachée de sang.
« Voici la porte de la liberté, dirent-ils. Nous savons que nos frères ont été sacrifiés ici. »
Un í  un, les bÅ“ufs entrèrent. Et ce n’est qu’í  l’intérieur, quand il était déjí  trop tard, qu’ils se rendirent compte : c’était la porte de l’abattoir.

Décider du destin d’autrui

Malba Tahan raconte l’histoire d’un homme qui rencontra un ange dans le désert, et lui donna de l’eau. « Je suis l’ange de la mort, et je suis venu te chercher, dit l’ange. Mais comme tu as été bon, je vais te príªter le Livre du Destin pour cinq minutes ; tu peux modifier ce que tu voudras. »
L’ange lui remit le livre. Feuilletant ses pages, l’homme y lut la vie de ses voisins. Il en fut mécontent : « Ces gens ne méritent pas d’aussi bonnes choses », pensa-t-il. La plume en main, il commení§a í  détériorer la vie de chacun.
Enfin, il parvint í  la page de son destin. Il vit sa fin tragique, mais alors qu’il se préparait í  la transformer, le livre disparut. Les cinq minutes étaient passées.
Et l’ange, sur-le-champ, emporta l’í¢me de l’homme.

Evite el reumatismo.

El cienpiés decidió preguntar al sabio del bosque, un mono, cuál era el mejor remedio para el dolor de sus piernas.
“Esto es reumatismo”, dijo el mono, “Tienes demasiadas piernas. Necesitarí­as ser así­ como yo; con solo dos. Así­ raramente el reumatismo aparece”.
“¿Y cómo hago para tener solo dos piernas?”
“No me molestes con detalles”, respondió el mono.”Un sabio solamente da el mejor consejo, tú eres quien resolverá el problema”.

Puedo ayudar?

En cuanto abrió la iglesia, el padre vio entrar a una mujer que se sentó en el banco de enfrente y colocó la cabeza entre las manos. Dos horas después, notó que la mujer todaví­a estaba allí­, en la misma posición.
Preocupado, decidió aproximarse:
“¿Puedo hacer algo para ayudarla?”, preguntó.
“No, gracias”, respondió ella. “Yo ya estaba consiguiendo toda la ayuda que necesito, cuando Vd. Me interrumpió”.
El jesuita Anthony Mello comenta: “En un monasterio no está escrito No hable. Está escrito: Hable sólo si puede mejorar el silencio.

Yo sé lo que es cierto.

Un campesino volví­a hacia su casa, cuando vio a un burro en el campo.
“No soy sólo un burro”, dijo el animal. “Yo vi nacer al Mesí­as. Vivo desde hace dos mil años, y estoy vivo para dar este testimonio.
Asustado, el campesino corrió hacia la iglesia y le contó al párroco. “Imposible”, dijo él. El campesino lo tomó por las manos y lo llevó hasta donde estaba el burro. El animal repitió todo lo que habí­a dicho.
“Repito: los animales no hablan” dijo el padre.
“Pero Vd. Lo oyó!” – insistió el campesino.
“¡Cómo eres de tonto! Prefieres creer en un burro que en un padre!”

Eso va a funcionar también con nosotros

Una fábula del escritor libanés Mikail Naaimé puede ilustrar bien el peligro de seguir los métodos de los otros, por más nobles que parezcan ser:
“Necesitamos liberarnos de la esclavitud en la que el hombre nos mantiene”, dijo un buey a sus compañeros. “Durante años hemos escuchado a los seres humanos diciendo que la puerta de la libertad está manchada con la sangre de los mártires. Vamos a descubrirla y entraremos allí­ con la fuerza de nuestros cuernos”.
Caminaron durante dí­as y noches por la carretera hasta que vieron una puerta toda manchada de sangre.
“Esta de aquí­ es la puerta de la libertad” dijeron. Sabemos que nuestros hermanos fueron sacrificados aquí­.
Uno a uno, los bueyes fueron entrando. Y solamente allí­ adentro, cuando ya era demasiado tarde, fue que se dieron cuenta: era la puerta del matadero.

Decidiendo el destino ajeno

Malba Tahan cuenta la historia de un hombre que encontró a un ángel en el desierto, y le dio agua. “Soy el ángel de la muerte y he venido buscarle”, dijo el ángel.
“Pero como ha sido bueno, voy a prestarle el Libro Del Destino cinco minutos; podrá alterar lo que quiera. ”
El ángel le entregó el libro. Al hojear sus páginas, el hombre fue leyendo la vida de sus vecinos. Se quedó descontento: Estas personas no merecen cosas tan buenas, pen só. De bolí­grafo en puño, empezó a empeorar la vida de cada uno.
Finalmente, llegó a la página de su destino. Vio su final trágico, pero cuando se preparaba para cambiarlo, el libro desapareció. Ya habí­an pasado los cinco minutos.
Y el ángel, allí­ mismo, se llevó el alma del hombre.

Evite o reumatismo

A centopéia resolveu perguntar ao sábio da floresta, um macaco, qual o melhor remédio para a dor em suas pernas.
“Isto é reumatismo”, disse o macaco, “Vocíª tem pernas demais. Precisava ser assim como eu; com apenas duas, raramente o reumatismo aparece”.
“E como faí§o para ter apenas duas pernas?”
“Ní£o me amole com detalhes”, respondeu o macaco. “Um sábio apenas dá o melhor conselho; vocíª que resolva o problema”.

Posso ajudar?

Assim que abriu a igreja, o padre viu uma mulher entrar, sentar-se no banco da frente, e colocar a cabeí§a entre as mí£os. Duas horas depois, reparou que a mulher ainda estava ali, na mesma posií§í£o.
Preocupado, resolveu aproximar-se:
“Posso fazer algo para ajudar?”, perguntou.
“Ní£o, obrigada”, respondeu ela. “Eu já estava conseguindo toda ajuda que preciso, quando o senhor me interrompeu”.
O jesuí­ta Anthony Mello comenta: “num mosteiro ní£o estava escrito Ní£o fale. Estava escrito: Fale apenas se puder melhorar o silíªncio.”

Eu sei o que está certo

Um camponíªs voltava para casa, quando viu um jumento no campo.
“Ní£o sou apenas um jumento”, disse o animal. “Vi o Messias nascer. Vivo há dois mil anos, e estou vivo para dar este testemunho.”
Assustado, o camponíªs correu para a igreja e contou ao pároco. “Impossí­vel”, disse ele. O camponíªs pegou-o pelas mí£os e levou-o até onde estava o jumento. O animal repetiu tudo que dissera.
“Repito: animais ní£o falam” disse o padre.
“Mas o senhor ouviu!” – insistiu o camponíªs.
“Como vocíª é tolo! Prefere acreditar num jumento que num padre!”

Isso vai funcionar também conosco

Uma fábula do escritor libaníªs Mikail Naaimé pode ilustrar bem o perigo de seguir os métodos dos outros, por mais nobres que pareí§am ser:
“Precisamos nos libertar da escravidí£o que o homem nos mantém”, disse um boi aos seus companheiros. “Durante anos, escutamos os seres humanos dizendo que a porta da liberdade está manchada com o sangue dos mártires. Vamos descobri-la e entraremos ali com a forí§a dos nossos chifres”.
Caminharam durante dias e noites pela estrada, até que viram uma porta toda manchada de sangue.
“Eis a porta da liberdade”, disseram. “Sabemos que nossos irmí£os foram sacrificados aí­”.
Um a um, os bois foram entrando. E só lá dentro, quando já era tarde demais, foi que se deram conta: era a porta do matadouro.

Decidindo o destino alheio

Malba Tahan conta a história de um homem que encontrou um anjo no deserto, e lhe deu água. “Sou o anjo da morte e vim buscá-lo”, disse o anjo. “Mas como vocíª foi bom, vou lhe emprestar o Livro do Destino por cinco minutos; vocíª pode alterar o que quiser”.
O anjo entregou o livro. Ao folhear suas páginas, o homem foi lendo a vida dos seus vizinhos. Ficou descontente: “estas pessoas ní£o merecem coisas tí£o boas”, pen sou. De caneta em punho, comeí§ou piorar a vida de cada um.
Finalmente, chegou na página de seu destino. Viu seu final trági co, mas quando preparava-se para mudá-lo, o livro sumiu. Já se tinham passado cinco minutos.
E o anjo, ali mesmo, levou a alma do homem.

Preventing rheumatism

The centipede decided to ask the wise man of the forest, a monkey, what was the best remedy for the pain in his legs.
“That’s rheumatism”, said the monkey. “You’ve got too many legs. You ought to be like me; with just two, rheumatism hardly ever appears”.
“And what do I do to have just two legs?”
“Don’t bother me with details”, answered the monkey. “A wise man just gives the best advice; it’s up to you to solve the problem”.

Can I help?

As soon as he opened the church, the priest saw a woman come in, sit down on the front pew, and put her head between her hands. Two hours later, he noticed that the woman was still there in the same position.
Worried, he decided to approach her:
“Can I do anything to help?” he asked.,
“No, thanks”, she answered. “I was just getting all the help I need when you interrupted me”.
Jesuit Anthony Mello comments: “in a monastery no-one wrote Don’t talk on the notice-board. What was written was: Talk only if you can make the silence better.”

I know what’s right

A peasant was returning home when he saw a donkey in the field.
“I’m not a donkey”, said the animal. “I saw the Messiah being born. I have lived for two thousand years, and am still alive to give this testimony.”
Frightened, the peasant ran to the church to tell the parish priest. “Impossible!”, he said. The peasant took him by the hands and led him to where the donkey was. The animal repeated everything he had said before.
I repeat: animals cannot talk” said the priest.
But you just heard it talk!” insisted the peasant.
How stupid can you be! You’d rather believe a donkey than a priest! ”

This will work for us too

A fable of the Lebanese writer Mikail Naaimé is a good illustration of the danger of following the methods of others, no matter how noble they may seem to be:
“We need to free ourselves from being slaves to men”, said an ox to his companions. “For years we have listened to human beings saying that the door to freedom is stained with the blood of martyrs. Let’s discover that door and knock it down with the strength of our horns”.
For days and nights they walked down the road until they saw a door all stained with blood.
“Here is the door to freedom”, they said. “We know that our brothers were sacrificed on this spot”.
One by one the oxen went through the door. And it was only inside, when it was too late, that they realized that it was the door to the slaughterhouse.

Deciding the fate of others

Malba Tahan tells the story of a man who came across an angel in the desert and gave him water. “I am the angel of death and have come to find you”, said the angel. “But since you have been good, I will lend you the Book of Destiny for five minutes; you can change whatever you want”.
The angel handed him the book. Leafing through the pages, the man read the lives of his neighbors. He was discontented: “Those people don’t deserve such good things”, he thought. Pen in hand, he began to make each of their lives worse.
Finally he reached the page of his own destiny. He saw his tragic ending, but just as he was about to change it, the book vanished. Five minutes had passed.
And right there and then the angel took the man’s soul.

Celebriamo i quattro anni del Guerriero della Luce Online, che conta attualmente quasi 100.000 sottoscrittori. Grazie per l’appoggio costante, e celebriamo questo numero con una persona che ha segnato profondamente la mia vita. Suggerisco che ciascuno cerchi, nella propria lontana infanzia, quel personaggio che l’ha aiutato a forgiare la spada del guerriero della luce.

Il mio tipo indimenticabile

Quando ero bambino, ero solito leggere una rivista a cui i miei genitori erano abbonati. C’era una sezione intitolata “Il mio tipo indimenticabile” – in cui persone comuni parlavano di altre persone comuni che avevano influenzato la loro vita. Naturalmente a quell’epoca, a nove o dieci anni, anch’io mi ero creato il mio personaggio speciale. D’altro canto, ero sicuro che nel corso degli anni questo modello sarebbe cambiato, e quindi decisi di non scrivere alla rivista sottomettendo la mia opinione (mi ritrovo a immaginare oggi come avrebbero accolto la collaborazione di uno della mia etí  all’epoca).

Sono passati gli anni. Ho conosciuto molta gente interessante, che mi ha aiutato in momenti difficili, che mi ha ispirato, che mi ha mostrato delle strade che era necessario imboccare. Eppure, i grandi miti dell’infanzia hanno sempre dimostrato di essere pií¹ potenti: attraversano periodi di svalutazione, di oblio, – ma permangono, ripresentandosi nelle occasioni necessarie con i loro valori, i loro esempi, i loro atteggiamenti.

Il mio tipo indimenticabile si chiamava José, il fratello pií¹ giovane di mio nonno. Non si sposí² mai, fece l’ingegnere per molti anni e, quando andí² in pensione, decise di vivere ad Araruama, una cittí  vicino a Rio de Janeiro. Era lí¬ che tutta la famiglia andava a passare le vacanze con i bambini. Zio José era scapolo, non doveva avere molta pazienza per quell’invasione, ma era l’unico momento in cui poteva condividere un po’ della sua solitudine con i nipoti. Era anche un inventore e, per sistemarci, decise di costruire una casa dove le stanze comparivano solo durante l’estate! Si premeva un pulsante e dal soffitto calavano gií¹ le pareti, dai muri uscivano i letti e le tolette, ed era fatta: quattro dormitori per accogliere i nuovi arrivati. Quando terminava il carnevale, le pareti risalivano, i mobili rientravano nei muri e la casa tornava a essere un grande salone vuoto, dove solitamente teneva il materiale della sua officina.

Costruiva automobili. Ma non solo, fece anche un veicolo speciale per portare la famiglia a Lagoa de Araruama – a metí  tra una jeep e un treno su pneumatici. Andavamo ai bagni, convivevamo con la natura, giocavamo tutto il giorno, e io mi domandavo sempre: “ma perché vive qui da solo? Ha denaro, potrebbe vivere a Rio!” Raccontava storie di certi suoi viaggi negli Stati Uniti, dove aveva lavorato in miniere di carbone e si era avventurato in luoghi mai visitati prima. La famiglia soleva dire: “sono tutte bugie”. Viveva vestito da meccanico, e i parenti commentavano: “avrebbe bisogno di abiti migliori”. Appena la televisione entrí² in Brasile, lui comprí² un apparecchio che collocava sul marciapiede, in modo che tutta la strada potesse vedere i programmi.

Mi insegní² ad amare le scelte fatte con il cuore. Mi mostrí² l’importanza di fare cií² che si desidera, indipendentemente da quello che dicono gli altri. Mi accolse quando, adolescente ribelle, ebbi dei problemi con i miei genitori. Un giorno mi disse:

– Ho inventato l’Hydromatic (cambio automatico di marcia nell’auto). Sono andato a Detroit, mi sono messo in contatto con la General Motors, mi hanno offerto 10.000 dollari in totale o 1 dollaro per ogni auto venduta con questo nuovo sistema. Ho preso i diecimila dollari e ho vissuto gli anni pií¹ fantastici della mia vita.

La famiglia diceva: zio José vive inventando cose, non credeteci. E, pur avendo una grande ammirazione per le sue avventure, per il suo stile di vita, per la sua generosití , io non credetti a questa storia. L’ho raccontata al giornalista Fernando Morais solo perché zio José era ed è il mio tipo indimenticabile.

Fernando ha deciso di controllare, ed ecco quello che ha trovato (il testo è pubblicato, giacchè fa parte di un lungo articolo):

“Il primo cambio automatico fu inventato dai fratelli Sturtevant di Boston nel 1904. Il sistema non funzionava appieno perché i pesi frequentemente si distanziavano molto. Ma fu l’invenzione dei brasiliani Fernando Iehly de Lemos e José Braz Araripe, venduta alla GM nel 1932, che contribuí¬ allo sviluppo del sistema Hydromatic lanciato dalla GM nel 1939.”

 Con milioni di auto Hydromatic prodotte tutti gli anni, la famiglia – che non aveva mai creduto a niente e pensava che zio José si vestisse male – si sarebbe ritrovata con una fortuna incalcolabile. Che bello che lui abbia speso i suoi diecimila dollari in anni felici!

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